La mafia si può fermare
Una testimonianza davvero “a tutto campo”, quella di Giovanni Impastato, l’altra sera in una gremitissima sala consiliare a Limbiate: davvero “oltre i cento passi”, come si intitola il libro scritto e presentato dal fratello di Peppino, ucciso dalla mafia nel 1978. Un “maestro” del quale possiamo giovarci anche noi lombardi, nella nostra ormai quotidiana lotta alle mafie.
Alcuni spunti dalla serata:
- attenti agli eroi antimafia: sono importanti punti di riferimento, certo, ma che non diventino icone del nostro disimpegno (“Ci sono loro, io posso farne a meno”, oppure: “Per combattere le mafie bisogna essere persone fuori dal comune”…)
- legalità non è solo “obbligo”: per troppo tempo è stata presentata solamente come il dovere di rispettare le leggi, pagare le tasse, eccetera. Legalità è anzitutto rispetto della dignità umana, dunque ribellione a ogni forma di ingiustizia e sopraffazione; fino alla disobbedienza civile contro le leggi “disumane”. La legalità vale se è democratica, antifascista, costituzionale.
- la mafia non è anti-Stato: come spesso è stato detto; è invece nel cuore dello Stato: negli appalti pubblici, nella politica. Falcone diceva: “La mafia ha ucciso i migliori servitori dello Stato che lo Stato non ha voluto e non ha saputo proteggere”.
- la mafia non è invincibile: tutt’altro. Peppino – figlio di un mafioso, nipote del boss della “cupola” dell’epoca – ha avuto addirittura il coraggio di rompere con il suo Dna e ha inventato un sistema di lotta nuovo per i suoi tempi: con la radio, con l’ironia. E’ stato l’erede della grandi lotte agrarie dei contadini siciliani, ma anche il pioniere di nuovi movimenti di giustizia sociale di massa