La mafia uccide la Costituzione

«Qual è il rapporto del mafioso con la democrazia?». Si pone la domanda un grande magistrato, Gian Carlo Caselli, che fu procuratore della Repubblica a Palermo subito dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino. Proprio Caselli sarà con noi a Monza, al Teatro Manzoni, la mattina del 26 maggio per commemorare il trentesimo anniversario di Capaci.

E così si risponde magistralmente il giudice: «Il mafioso è vissuto e vive per praticare un metodo di intimidazione, assoggettamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese. In questo modo il mafioso contribuisce in maniera concreta e decisiva a creare tutta una serie di osta­coli di ordine economico e sociale che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana. In altre parole, il mafioso è la negazione assoluta e al tempo stesso un nemico esiziale dell’articolo 3, architrave della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”».

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