140 anni di sangue innocente

Oltre mille morti in 140 anni. Sono le Vittime innocenti delle mafie, in ricordo delle quali il 21 marzo si celebrerà in tutt’Italia la XXVI Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno. Brianza SiCura ha letto le loro storie e le ha organizzate in una statistica significativa. 

Le vittime innocenti finora censite a partire dal 1878 e fino al 2021 sono 1032. Come ci si aspetta, per la netta maggioranza si tratta di uomini, ma ci sono anche 126 donne (il primo assassinio di mafia in Italia, a smentire il «codice» secondo il quale i padrini non toccherebbero le donne e i bambini, fu proprio un femminicidio). Quanto alle fasce d’età degli uccisi, è agghiacciante il 15% di morti al di sotto dei 20 anni (di cui il 3,5%, 36 bambini, addirittura sotto i 10 anni), per un totale di 150 minori; il più piccolo aveva soltanto un mese!

Passando poi alla professione delle vittime, il primo posto è occupato dalle forze dell’ordine (carabinieri, poliziotti, finanzieri, pompieri, guardie carcerarie e anche guardie giurate), con ben 193 morti (il 19% del totale). Il secondo posto spetta a politici, sindacalisti, amministratori pubblici: 134 persone uccise (13%) per la loro attività di contrasto alle mafie o semplicemente per aver applicato la legge. Al terzo posto vengono gli operatori economici (85 assassinati, dall’industriale all’imprenditore, dal piccolo commerciante all’agricoltore) che si sono rifiutati di accettare le regole della mafia (appalti truccati, pizzo, favori, eccetera) alcuni di loro anche denunciando pubblicamente i tentativi di estorsione e invitando i colleghi a fare altrettanto. Vengono a distanza i giornalisti (21), i magistrati (19) e i sacerdoti (6). In totale, si può dire che quasi la metà delle vittime ha pagato con la vita la serietà e l’onestà nel proprio lavoro, il coraggio d’indagare e denunciare.

L’altra parte comprende per un terzo del totale i numerosi morti «per caso», ovvero perché si trovavano nel posto sbagliato nel momento sbagliato, o «per causa sconosciuta» (che è come essere uccisi due volte) e per il resto uomini e donne «eliminati» per ragioni indipendenti dalla loro professione. Ecco dunque i 40 casi di vendetta e i 36 di ritorsione e/o intimidazione indirizzata ai congiunti, i 33 testimoni scomodi di fatti criminosi, I 22 decessi in seguito a sequestri. Non è altissimo il numero di chi è stato punito per aver denunciato o collaborato con la giustizia (24 vittime, circa il 2%), mentre 27 sono i morti per sfruttamento sul lavoro, soprattutto in riferimento al caporalato legato alle agromafie. Colpisce infine il dato dei suicidi: 9 possono sembrare pochi, ma sono tutti causati dalla reazione ad eventi traumatici subiti a causa della mafia, tranne in due casi: un ragazzo di 14 anni e una donna che non sopportavano più di vivere in una famiglia mafiosa.

L’ultimo grafico mostra invece l’andamento annuo delle uccisioni suddivise per regione o area geografica: il numero più alto di vittime spetta alla Sicilia, che da sola totalizza oltre il 43% dei morti; seguono nell’ordine la Campania (19%), la Calabria (17%), la Puglia (9%). Ma è forse più significativo il dato che indica i picchi degli assassinii: infatti se fino alla metà degli anni ’60 la quasi totalità delle vittime si trova in Sicilia (con un picco nell’immediato dopoguerra), a partire dagli anni ’70 tutto il territorio nazionale risulta coinvolto da eventi di violenza mafiosa, con maggiore intensità tra gli anni Ottanta e Novanta: il periodo delle stragi, che non riguarda comunque soltanto la Sicilia e infatti è l’epoca in cui si registrano i primi morti di mafia anche al Centro-Nord.

In seguito si ha un deciso calo di omicidi, ad esclusione della Campania che continua ad avere una presenza significativa di morti e della Puglia, il cui picco è dovuto però a due eventi che da soli hanno provocato 16 vittime in un anno. Questo dato sembra confermare ciò che gli esperti sostengono da tempo: cioè che le mafie hanno cambiato atteggiamento e ora tendono a passare inosservate e a integrarsi nella società come figure «buone» e rispettabili, ricorrendo alla violenza estrema solo in casi eccezionali.

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